Vi è mai capitato di osservare qualcuno mentre sta giocando a un videogame? Provate, e vi accorgerete che la sua immersione, a livello emotivo e motivazionale, sarà molto più profonda di quanto potevate immaginare. Questo perché starete guardando una persona mentre vive da protagonista, in prima persona, l’esperienza della vita nelle sue fasi di iniziazione, formazione, costruzione.
I videogiochi – con buona pace di accademici e opinionisti conservatori – sono l’espressione massima del potere delle storie: ci rende protagonisti di una realtà che possiamo plasmare come vogliamo e dove possiamo essere la versione migliore di noi stessi. Level up o game over sono solo messaggi sullo schermo, ma dentro ciascun giocatore diventano motivo di gioia o rabbia, soddisfazione o frustrazione, appagamento o voglia di riprovarci. Le stesse emozioni che proviamo nella vita vera, solo che la rete permette di condividere questo bagaglio emotivo con milioni di persone nel mondo nello stesso istante.
I videogiochi, i giochi in genere, sono sempre progettati per le persone a partire dalle loro motivazioni. Ecco perché ricreare la modalità (video) ludica in ambienti fisici o digitali in cui sono centrali l’esperienza e il coinvolgimento significa assecondare, al suo livello più alto, una predisposizione biologica dell’essere umano: giocare per conoscere il mondo. Come si chiama tutto questo? Gamification.
Il game design consiste, tra le altre cose, nel progettare occasioni per le persone che riproducano il senso di sfida (challenge), l’imprevedibilità, il riscontro in tempo reale, le logiche della premialità e soprattutto la percezione di essere protagonisti, attraverso le proprie scelte, di una narrazione condivisa. Le challenge infatti sono attivatori di due tra le più forti pulsioni umane: il senso di appartenenza e il mettersi alla prova per superare i propri limiti.
Ecco quindi che la gamification è il fattore dirompente che può migliorare situazioni non ludiche: rende stimolanti e coinvolgenti le attività in luoghi come musei, scuole, università, enti pubblici, aziende; ancora, può contribuire ad aumentare la produttività sul lavoro, velocizzare l’apprendimento o la fidelizzazione, e stimolare comportamenti positivi.
Il coinvolgimento – engagement, per dirla con linguaggio social – è e sarà sempre più il motore di questo secolo. Perché è sinonimo di attrazione. Non per nulla un numero sempre maggiore di aziende, enti e associazioni, dalla finanza alla salute, dall’educazione al commercio, ricorrono già ai principi ludici della gamification per relazionarsi con il proprio pubblico e con i propri dipendenti.
Se volete approfondire questi temi, vi consigliamo la lettura del libro di Fabio Viola e Vincenzo Idone Cassone “L’arte del coinvolgimento. Emozioni e stimoli per cambiare il mondo”, edito da Hoepli.