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26 Settembre 2025

Disaster recovery: significato e cosa sapere

In un contesto in cui i dati e i sistemi informativi sono la spina dorsale delle imprese, il disaster recovery diventa un elemento imprescindibile per garantire continuità operativa e resilienza. Dalle minacce sempre più frequenti dei cyberattacchi agli eventi imprevedibili come un disastro naturale, le organizzazioni devono dotarsi di strategie e soluzioni concrete per tutelare asset e processi. In questo servizio, analizziamo il significato del disaster recovery, le sue fasi, le metriche fondamentali come RPO e RTO, i vantaggi per il business e l’evoluzione rappresentata dal modello Disaster Recovery as a Service (DRaaS).

Cos’è il disaster recovery: definizione completa

Il disaster recovery (DR) è l’insieme di tecnologie, processi e buone pratiche che hanno l’obiettivo di prevenire o ridurre al minimo la perdita di dati e l’interruzione delle attività aziendali a seguito di eventi catastrofici. Con “disastro” non si intendono soltanto eventi naturali come terremoti, alluvioni o incendi, ma anche situazioni sempre più frequenti come cyberattacchi, interruzioni di alimentazione elettrica, guasti hardware, malfunzionamenti software o errori umani.
Molte aziende tendono a sottovalutare la necessità di un piano di disaster recovery strutturato. Eppure, le conseguenze economiche di un fermo IT possono essere drammatiche: secondo numerose analisi di settore, il costo di un’interruzione infrastrutturale può arrivare a centinaia di migliaia di dollari all’ora, mentre quello legato al blocco di applicazioni critiche può raggiungere milioni di dollari. Un impatto che non si osserva solo sulle grandi organizzazioni, ma anche su quelle di più piccole dimensioni, tanto che, secondo una valutazione pubblicata da Ibm, oltre il 40% delle piccole imprese non riapre dopo un disastro, e un ulteriore 25% fallisce entro l’anno successivo all’incidente.
Dunque, non è difficile comprendere come mai il disaster recovery rappresenti oggi un pilastro della business continuity: garantisce che, anche in caso di interruzioni improvvise e impreviste, i sistemi, i dati e le funzionalità essenziali possano essere rapidamente ripristinati, riducendo al minimo l’impatto operativo, reputazionale ed economico sull’organizzazione.

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Come funziona il disaster recovery 

Il disaster recovery si basa sulla replica dei dati e dei processi informatici in un sito alternativo, geograficamente separato e non colpito dall’evento che ha generato l’interruzione. Quando un server va in down a causa di un guasto, di un attacco informatico o di una calamità naturale, l’organizzazione deve poter accedere a copie aggiornate dei propri dati e, idealmente, trasferire l’elaborazione a un’infrastruttura remota, così da continuare le attività senza interruzioni significative.
Un piano di disaster recovery è quindi articolato in più fasi, che coprono l’intero ciclo: dalla preparazione preventiva, alla risposta immediata, al ripristino delle funzionalità, fino al ritorno alla normalità e al miglioramento continuo.

Preparazione

La fase di preparazione inizia con una valutazione dei rischi, volta a individuare le minacce potenziali e a valutarne l’impatto su infrastrutture e processi aziendali. Su questa base viene sviluppato un piano dettagliato che definisce strategie, procedure operative e risorse necessarie per garantire la resilienza. La preparazione comprende anche la definizione di politiche di backup e replica dei dati verso siti esterni, nonché l’adozione di test periodici e programmi di formazione per il personale. L’obiettivo è assicurarsi che, in caso di emergenza, tutti sappiano come agire e che la tecnologia sia pronta a sostenere la continuità operativa.

Risposta

Questa fase include la valutazione rapida dell’entità del danno in caso di evento critico e l’attivazione del piano di disaster recovery. Le organizzazioni devono essere in grado di comunicare tempestivamente con tutti gli stakeholder, assegnare i ruoli operativi e mettere in sicurezza i sistemi colpiti. 

Ripristino

Il ripristino riguarda il ritorno alla piena funzionalità dei sistemi. In questa fase si procede al failover, cioè al trasferimento dei carichi di lavoro critici sul sito di disaster recovery, dove i dati vengono ripristinati a partire dalle copie più recenti. Le applicazioni e i servizi essenziali vengono riportati progressivamente online, seguendo un ordine di priorità stabilito in base alle esigenze operative. Il successo di questa fase si misura nella capacità di ridurre al minimo il downtime e l’impatto sull’attività dell’organizzazione.

Ritorno alla normalità

Una volta stabilizzata la situazione, si avvia il processo di failback, ovvero il ritorno graduale all’infrastruttura primaria. In alcuni casi, questa fase può includere la ricostruzione o l’aggiornamento dei sistemi compromessi, così da rientrare in produzione con un’infrastruttura rafforzata.

Lezioni apprese e miglioramento continuo

Un aspetto fondamentale, infine, è la fase di analisi successiva all’incidente. Una revisione dettagliata consente di valutare l’efficacia del piano, individuare eventuali criticità e trarre insegnamenti utili per il futuro. 

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Tipologie di disaster recovery

Il disaster recovery non è un concetto unico e uniforme, ma comprende diverse modalità di implementazione che variano in base a ciò che deve essere protetto, all’approccio tecnologico adottato e alla strategia di ripristino scelta. Ogni tipologia offre un equilibrio diverso tra costi, complessità e velocità di recupero, permettendo alle organizzazioni di selezionare la soluzione più adatta alle proprie esigenze.

Data center disaster recovery

Riguarda la protezione dell’infrastruttura IT fisica di un’organizzazione, con particolare attenzione ai server, ai sistemi di archiviazione e ai dispositivi di rete. Il data center disaster recovery prevede la predisposizione di backup regolari e la disponibilità di sistemi alternativi per garantire la continuità operativa. È un approccio tradizionale, che richiede investimenti consistenti in termini di hardware e risorse, ma che garantisce il massimo controllo sulle operation e sui dati.

Cloud disaster recovery

Il cloud disaster recovery sfrutta l’infrastruttura del cloud per replicare e ospitare server, applicazioni e dati al di fuori del sito aziendale. Questa soluzione consente alle imprese di accedere rapidamente a risorse remote in caso di emergenza, riducendo i costi di gestione e aumentando la scalabilità. Inoltre, la possibilità di automatizzare i processi di failover e failback rende il ripristino più veloce e affidabile.

Network disaster recovery

Si concentra sul ripristino e sulla continuità della connettività di rete. In caso di disastro, non basta avere i dati disponibili: è necessario anche che gli utenti e i sistemi possano accedervi. Questo approccio prevede l’implementazione di percorsi ridondanti, connessioni alternative e tecniche di bilanciamento del traffico per garantire che la rete rimanga attiva o che possa essere ripristinata rapidamente.

Virtualized disaster recovery

Grazie alla tecnologia di virtualizzazione, è possibile creare copie virtuali di server, applicazioni e dati, pronte a essere attivate in caso di necessità. Il virtualized disaster recovery permette di ridurre sensibilmente i tempi di ripristino, poiché le macchine virtuali possono essere avviate in pochi minuti su infrastrutture di backup o cloud. 

Soluzioni Hybrid

Le soluzioni ibride combinano i vantaggi dell’on-premises con quelli del cloud. In questo modello, parte dei dati e dei sistemi critici vengono gestiti internamente, mentre altre componenti sono replicate su infrastrutture cloud. Questo approccio garantisce maggiore ridondanza, sicurezza e resilienza, offrendo un buon compromesso tra controllo, flessibilità e costi.

Backup and restore

Il metodo più tradizionale di disaster recovery è basato sul backup e sul successivo ripristino. I dati vengono salvati regolarmente su supporti fisici o su cloud e, in caso di disastro, vengono recuperati e ripristinati. Sebbene sia una soluzione a basso costo, non è adatta per applicazioni che richiedono alta disponibilità, poiché i tempi di ripristino possono essere lunghi e comportare downtime significativo.

Disaster recovery sites

Un’altra strategia consiste nell’allestimento di siti alternativi pronti a subentrare in caso di emergenza. 
- I cold site mettono a disposizione solo l’infrastruttura fisica e richiedono molto tempo per essere operativi. 
- I warm site includono sistemi parzialmente configurati, che riducono i tempi di avvio ma necessitano comunque di attività di setup. 
- Gli hot site, infine, rappresentano la soluzione più avanzata: ambienti completamente specchiati e sincronizzati con l’infrastruttura primaria, in grado di assumere immediatamente le operazioni senza interruzioni percepibili.

High availability con replica

La strategia più avanzata è basata sull’alta disponibilità, con replica costante e quasi in tempo reale di dati e sistemi su un sito alternativo. In questo modo, il downtime e la perdita di dati sono ridotti al minimo. Questo approccio richiede infrastrutture robuste e investimenti maggiori, ma rappresenta la scelta ideale per le organizzazioni che non possono permettersi interruzioni, come quelle nei settori finanziario, sanitario o industriale.

Componenti essenziali di un piano di disaster recovery

Un piano di disaster recovery efficace non è un documento statico, ma un insieme dinamico di procedure, risorse e responsabilità che consentono di ridurre al minimo gli impatti di un evento critico. Ogni strategia di DR deve includere alcuni elementi fondamentali, che permettono di rendere la risposta rapida, ordinata e coerente con le esigenze di business.

Risk assessment e business impact analysis

La prima componente chiave è l’analisi dei rischi e degli impatti. Il risk assessment consente di identificare le potenziali minacce, dalle calamità naturali agli attacchi informatici, fino ai guasti hardware e agli errori umani. La business impact analysis (BIA), invece, misura le conseguenze di queste interruzioni, evidenziando quali funzioni aziendali e quali dati devono essere ripristinati con priorità. Questo passaggio permette di stabilire strategie di mitigazione mirate e di allocare le risorse in modo proporzionato all’effettiva criticità dei processi.

Recovery Time Objective (RTO) e Recovery Point Objective (RPO)

Due parametri fondamentali guidano ogni decisione in tema di disaster recovery: il Recovery Time Objective e il Recovery Point Objective. L’RTO indica il tempo massimo accettabile entro il quale un servizio deve tornare operativo dopo un disastro. L’RPO definisce invece la quantità di dati che un’organizzazione può permettersi di perdere, espressa in termini di tempo (per esempio, un’ora, un giorno, una settimana). Stabilire obiettivi chiari per RTO e RPO è indispensabile per allineare le strategie di recupero ai bisogni reali del business e per orientare la scelta delle tecnologie più adatte.

Soluzioni di backup e data recovery

Il backup è la colonna portante di qualsiasi piano di DR. Le aziende devono implementare strategie di salvataggio periodico dei dati che combinino storage locale, storage remoti e servizi cloud, così da garantire la massima resilienza. Non basta però limitarsi alla copia dei file: è essenziale che i dati siano cifrati, conservati in modo sicuro e soprattutto testati con regolarità per assicurarne l’integrità e la disponibilità al momento del ripristino. 

Ridondanza e sistemi di failover

Il piano di DR deve prevedere meccanismi di ridondanza e failover. La ridondanza consiste nella duplicazione di risorse critiche — server, apparati di rete, sistemi di archiviazione — così da avere sempre una copia pronta in caso di guasto. Il failover è il processo automatico che sposta le operazioni sui sistemi di riserva nel momento in cui quelli principali si interrompono. La combinazione di ridondanza e failover è il presupposto tecnico per garantire alta disponibilità e resilienza.

Procedure di recovery dettagliate

Un piano di disaster recovery deve contenere procedure operative chiare e dettagliate, che definiscono esattamente cosa fare in caso di emergenza. Queste procedure comprendono la sequenza di azioni da intraprendere, i criteri di priorità, la distribuzione delle responsabilità e le modalità di coordinamento. 

Strategia di comunicazione

Durante una crisi, la comunicazione è tanto importante quanto la tecnologia. Un buon piano di DR deve includere un protocollo di comunicazione che stabilisca come informare dipendenti, clienti, partner e stakeholder esterni. Devono essere definiti i canali da utilizzare, i referenti autorizzati a rilasciare informazioni e la frequenza degli aggiornamenti. 

Testing e manutenzione

Un piano di disaster recovery deve essere testato regolarmente attraverso simulazioni, esercitazioni e analisi a tavolino. Solo così si possono identificare eventuali lacune, verificare la reale efficacia delle procedure e correggere le criticità. Allo stesso tempo, il DRP deve essere mantenuto aggiornato rispetto all’evoluzione del business e delle minacce.

Formazione e consapevolezza

Infine, nessuna strategia di DR può funzionare senza persone preparate. Tutti i dipendenti devono ricevere formazione adeguata sui propri ruoli e sulle procedure da seguire in caso di emergenza. Programmi di sensibilizzazione e training periodici contribuiscono a costruire una cultura della resilienza, in cui ogni membro dell’organizzazione è consapevole delle proprie responsabilità e pronto ad agire. Una risposta coordinata e consapevole può fare la differenza tra un recupero rapido ed efficace e un fallimento operativo.

Disaster recovery vs business continuity: differenze

I termini business continuity e disaster recovery vengono spesso utilizzati come sinonimi, ma in realtà descrivono due concetti distinti e complementari. Entrambi mirano a ridurre gli impatti negativi di eventi critici, ma lo fanno con obiettivi, strumenti e tempistiche diverse. Per un’organizzazione che voglia essere realmente resiliente, è necessario disporre sia di un piano di continuità operativa sia di un piano di disaster recovery, integrati tra loro.

La business continuity si concentra sulla capacità di mantenere operative le funzioni essenziali anche durante un evento critico. Significa predisporre processi, risorse e strategie che permettano all’azienda di rimanere “aperta” in qualche forma, nonostante condizioni avverse. Per esempio, garantire che le comunicazioni restino attive, che il personale possa lavorare in sicurezza, che ci siano postazioni alternative o modalità di lavoro remoto pronte all’uso.

Il disaster recovery, invece, ha un focus più tecnico e specifico: riguarda il ripristino dei sistemi IT, delle infrastrutture e dei dati dopo un’interruzione. È la fase che interviene per riportare i servizi allo stato normale, riducendo al minimo la perdita di informazioni e il downtime.

Mentre la business continuity guarda alla continuità complessiva dell’attività aziendale, il disaster recovery entra in gioco sul fronte informatico e infrastrutturale. In altre parole, la prima “mantiene le luci accese” in condizioni straordinarie, la seconda lavora per ripristinare pienamente la normalità tecnologica.


Tabella di disambiguazione

AspettoBusiness ContinuityDisaster Recovery
Obiettivo principaleMantenere attive le funzioni aziendali essenziali durante la crisiRipristinare sistemi IT, dati e infrastrutture dopo la crisi
AmbitoProcessi aziendali, persone, comunicazioni, logisticaSistemi informatici, applicazioni, storage, reti
TempisticaDurante l’eventoDopo l’evento
EsempiGarantire call center funzionanti, attivare smart working, predisporre sedi alternativeRipristinare server da backup, eseguire failover su un sito secondario, recuperare database
RelazioneStrategia più ampia che include anche il disaster recoveryComponente tecnica all’interno della business continuity

RPO e RTO: metriche fondamentali

Ne abbiamo già fatto cenno, ma vediamo ora di cosa si tratta effettivamente. Tra i tanti elementi che definiscono l’efficacia di una strategia di disaster recovery, due metriche assumono un ruolo centrale: Recovery Point Objective (RPO) e Recovery Time Objective (RTO), una bussola con cui misurare la resilienza tecnologica di un’organizzazione.

Recovery Point Objective (RPO)

L’RPO indica la quantità massima di dati che un’organizzazione è disposta a perdere in caso di disastro, misurata in termini temporali. In altre parole, stabilisce “quanto indietro nel tempo” è accettabile tornare quando si recuperano i dati da un backup o da un sistema di replica.

Un RPO di 24 ore significa che l’azienda può tollerare la perdita di un’intera giornata di dati; un RPO di un’ora riduce questa finestra a sessanta minuti. Più basso è l’RPO, maggiore è la frequenza dei backup o la necessità di sistemi di replica in tempo reale.

L’impatto pratico è evidente: un istituto bancario o un ospedale difficilmente possono permettersi la perdita di ore di transazioni o di cartelle cliniche; al contrario, una piccola azienda manifatturiera potrebbe accettare la perdita di qualche dato amministrativo purché la produzione non si fermi.

Recovery Time Objective (RTO)

L’RTO misura il tempo massimo che può intercorrere tra l’interruzione di un servizio e il suo ripristino completo. È, in sostanza, la finestra di downtime che un’organizzazione considera accettabile.

Se un sistema di e-commerce stabilisce un RTO di due ore, significa che deve essere in grado di tornare online entro quel lasso di tempo; oltre, il rischio di perdita di clienti e di danni reputazionali diventerebbe insostenibile. In settori critici, come quello sanitario o finanziario, l’RTO può essere ridotto a pochi minuti, richiedendo soluzioni ad alta disponibilità e meccanismi di failover quasi istantanei.

RPO e RTO sono metriche complementari. Entrambe devono essere coerenti con gli obiettivi di business e devono guidare la scelta delle tecnologie di disaster recovery. Un’organizzazione con RPO e RTO molto stringenti dovrà investire in soluzioni avanzate come la replica sincrona o i sistemi di alta disponibilità, con costi inevitabilmente più alti. Al contrario, aziende con requisiti meno critici potranno adottare strategie più semplici, basate su backup periodici e tempi di ripristino più lunghi.

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Vantaggi e importanza del disaster recovery 

Un approccio strutturato al disaster recovery non è soltanto una garanzia di ritorno alla normalità dopo un evento critico: rappresenta un vero e proprio investimento strategico per la continuità e la resilienza del business. I benefici di una strategia ben progettata toccano aspetti operativi, economici, reputazionali e normativi.

Il primo vantaggio è la riduzione drastica dei tempi di inattività. Ogni ora di downtime può generare perdite ingenti in termini di produttività, fatturato e fiducia dei clienti. Un piano di disaster recovery ben congegnato permette di contenere l’impatto delle interruzioni e di riavviare rapidamente i processi critici, salvaguardando così i ricavi e la relazione con il mercato.

Altrettanto centrale è la protezione di dati e asset digitali. Informazioni sensibili, archivi operativi, sistemi applicativi e piattaforme di comunicazione sono oggi il cuore pulsante delle imprese: perderli o non poterli ripristinare significherebbe non solo bloccare le attività, ma anche compromettere la credibilità aziendale. Le soluzioni di DR integrano backup cifrati, repliche sicure e procedure di failover in grado di assicurare che i dati restino accessibili, integri e conformi alle politiche di sicurezza.

Un piano di DR ben progettato rafforza inoltre la resilienza complessiva. Non si tratta semplicemente di reagire a un incidente, ma di costruire un’organizzazione capace di adattarsi e resistere alle crisi, riducendo l’esposizione a rischi futuri. La resilienza diventa così un vantaggio competitivo, soprattutto in mercati in cui l’affidabilità dei servizi è un criterio determinante di scelta da parte dei clienti.

Accanto a questi aspetti, vi è il tema cruciale della conformità normativa. In Europa e in Italia, diversi riferimenti regolatori hanno rafforzato l’attenzione delle imprese verso la business continuity e il disaster recovery. La direttiva NIS prima e la più recente NIS2 impongono obblighi stringenti per gli operatori di servizi essenziali e i fornitori di servizi digitali, introducendo requisiti specifici di sicurezza, resilienza e gestione degli incidenti. Analogamente, il GDPR prevede l’adozione di misure tecniche e organizzative adeguate per garantire la disponibilità e l’integrità dei dati personali, che comprendono anche strategie di backup e ripristino tempestivo. A livello internazionale, standard come la ISO 22301 per la gestione della continuità operativa forniscono linee guida e benchmark che molte organizzazioni scelgono di adottare anche su base volontaria, per dimostrare conformità e rafforzare la propria governance.

Cos’è il disaster recovery as a service (DRaaS)

Il Disaster Recovery as a Service (DRaaS) rappresenta una delle evoluzioni più significative nel campo della continuità operativa. A differenza delle soluzioni tradizionali, in cui le aziende devono progettare, implementare e mantenere autonomamente la propria infrastruttura di disaster recovery, il DRaaS consente di affidare queste attività a un provider esterno specializzato. In pratica, la replica dei sistemi, la gestione del failover e il successivo failback vengono erogati come servizio on demand, con un modello a consumo che rende più accessibile una resilienza di livello enterprise anche a organizzazioni di dimensioni medio-piccole.

Uno dei principali vantaggi del DRaaS è la sua flessibilità. I fornitori possono adattare i livelli di servizio alle esigenze specifiche del cliente, offrendo SLA personalizzati per RPO e RTO. Questo permette alle imprese di calibrare gli obiettivi di recupero in base alla criticità dei propri processi, senza doversi accollare i costi fissi di un’infrastruttura dedicata. Inoltre, il modello as a service consente aggiornamenti continui, automazione dei processi e integrazione con ambienti ibridi e multicloud, superando i limiti di soluzioni puramente on-premises.

Nello scenario attuale, il DRaaS è anche una leva per tradurre obblighi normativi in soluzioni operative concrete, con la garanzia che test, aggiornamenti e documentazione siano costantemente gestiti dal fornitore.

Un altro aspetto distintivo del DRaaS è il trasferimento di responsabilità. Mentre nel modello tradizionale il peso della progettazione e del mantenimento ricade interamente sull’IT interno, con il DRaaS le aziende delegano a un partner esterno non solo la tecnologia, ma anche la competenza necessaria a orchestrare piani di recovery complessi. Questo riduce la pressione sui team interni e assicura tempi di risposta più rapidi, grazie a competenze specialistiche e infrastrutture distribuite.

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Disaster recovery: significato e cosa sapere ultima modifica: 2025-09-26T08:30:00+02:00 da Sara Comi

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